Storie interessanti, capaci di ispirare e lasciare qualcosa. Perché quando si tratta di fare impresa in italia si può apprendere da altri casi di successo
La storia di Yoox
Diciotto anni fa – era gennaio – un giovane uomo di nome Federico Marchetti, armato di poche diapositive e molta testardaggine nel fare impresa in Italia, bussò alle porte di Esterino Piol, uomo simbolo dell’Olivetti più innovativa prima di mettersi in proprio nel 1996 e lanciarsi nel venture capitale. Marchetti, che allora aveva 30 anni, voleva lanciare una piattaforma per la vendita sul web di moda. Un po’ di giorni dopo, su quell’idea Piol puntò un miliardo di lire e non fu il solo, visto che i suoi soldi coprirono il 33% del capitale necessario per partire. Il resto della storia è nota: all’inizio di quest’anno il gruppo svizzero Richemont ha rilevato Yoox, l’azienda che 18 anni fa era solo un’idea e che oggi è leader nell’e-commerce per l’alta moda, valutandola oltre 5 miliardi di euro.
Come fare business in Italia?
Quanti Marchetti esistono in Italia? E quanti Marchetti ci potrebbero essere in futuro, capaci di superare la mancanza di liquidità che danneggia chi vuole inserirsi nel mondo del business, o il difficile contesto regolatorio del nostro Paese? Fare business in Italia non è mai stato semplice, eppure qualcosa sta lentamente cambiando. Secondo l’ultima rilevazione del ministro dello Sviluppo economico condotta con Unioncamere, al 31 marzo di quest’anno le startup innovative (società di capitali costituita da meno di cinque anni, con fatturato annuo sotto i cinque milioni di euro e caratterizzata da un business innovativo secondo la normativa nazionale) erano 8.897, 506 in più rispetto a fine 2017. Cresce anche il capitale sociale, ora complessivamente a 499 milioni di euro.
Le startup nascono all’interno delle università – specie quelle più attente all’innovazione, come i Politecnici a Milano e a Torino – come spin off e iniziative di grandi aziende, ma nascono anche dalle migliori intuizioni dei millennials (e non solo), singole persone capaci di vedere nuove opportunità di business, nuove domande a cui rispondere con nuovi servizi. Su questo sito vi racconteremo le storie migliori di chi ha deciso di aprire un’attività in Italia nella convinzione che la strada dell’imprenditorialità sia un’opportunità per molti anche nel nostro Paese: il web 2.0 ha reso più semplice partire da zero, anche se poi affermarsi è tutta un’altra questione. Storie come quelle di Satispay e CharityStars, che abbiamo già raccontato, sono esempi di quanto si possa andare lontano quando tutti i tasselli vanno al loro posto. Questo succede sempre più spesso anche in Italia, anche se non è né semplice né scontato.
Aprire un’attività in Italia
Prima di tutto abbiamo ancora problemi di burocrazia: secondo la Banca Mondiale, l’Italia nel 2018 si posiziona al 46° posto al mondo nella classifica di Ease of doing business, indice che misura la facilità di fare impresa in un Paese. La comunicazione unica, varata nel 2010, ha semplificato molto il quadro complessivo, ma si può migliorare ancora.
Soprattutto c’è un tema di finanziamenti ancora troppo scarsi. Secondo una recente ricerca di Mind The Bridge, le scale up italiane, ovvero startup che hanno ricevuto tra uno e cento milioni di investimento e che hanno un fatturato nella stessa forchetta, hanno raccolto negli ultimi sette anni 900 milioni. Se vi sembrano tanti, sappiate che nello stesso periodo le britanniche hanno raccolto 20,2 miliardi, le tedesche 10,1 miliardi, le francesi 6,6 miliardi, le spagnole 2,8 miliardi. Sono sopra il miliardo anche Paesi come Svezia, Olanda, Danimarca, Irlanda, Finlandia o Svizzera.
Regole semplici e disponibilità di capitali di rischio sono aspetti essenziali per avere successo: fare impresa in Italia o, comunque, fare business in Italia è possibile per chi ha idee e creatività per affermarsi. Ora si tratta di giocare con le stesse regole del resto d’Europa, senza penalizzazioni di partenza. Ma già oggi, a bocce ferme, anche chi sceglie di fare impresa in Italia può fare molto.